I giornalisti scrivono “quello che vogliono”. Inventano le notizie o nel migliore dei casi le distorcono per compiacere una pluralità di interessi, la voglia di fare scoop, le indicazioni di una linea editoriale sensazionalistica o semplicemente fantasia narrativa. Questo è quello che pensano, tuttora, molti lettori della stampa italiana e molte imprese. Se l’appellativo “giornalisti inventori di favole” è e resta diffuso nella percezione comune, va da sé che dagli uffici stampa aziendali vengano chiesti metodi per “controllare” la stampa o magari evitarla. Noi non siamo d’accordo.
I giornalisti – quelli buoni – non inventano favole. Nel loro lavoro devono però rispondere ad esigenze che a volte, al di fuori delle redazioni, sono mal comprese. Lungi dal dare consigli a una categoria che va rispettata, nei suoi lati buoni e cattivi, Editoria & Immagine prova a tracciare una serie di equivoci che il luogo comune “giornalisti inventori di favole” ha creato nelle aziende e, a volte, negli uffici stampa.
I giornalisti scrivono quello che vogliono, meglio non parlare affatto con loro.
Infelice scelta strategica, diciamo noi: il modo migliore per fare in modo che il giornalista, non avendo fonti dirette per raccontare un evento o un fatto relativo a un’azienda, trovi per vie traverse l’informazione che cerca e, se non può verificarla, possa comprenderla in modo inesatto. Qualcuno ricorda il gioco del “telefono senza fili?”
I giornalisti cercano notizie che fanno clamore.
Vero. Proprio per questo l’ufficio stampa deve dare loro modo di parlare dell’azienda, comunicando un prodotto o un fatto che siano davvero importanti, giocando d’anticipo sulla voglia di scoop dei giornali.
I giornalisti, quando scrivono, fraintendono il messaggio originale.
I bravi giornalisti devono riportare nell’articolo un resoconto il più possibile aderente alla realtà. Il testo, peraltro, sarà coerente con il piano editoriale della testata su cui verrà pubblicato. Molti equivoci tra azienda e giornalisti nascono in questa sede, tanto più che il giornalista, se è davvero scrupoloso, tende a fare diverse domande e a raccogliere molte informazioni, selezionando solo in seguito quelle più pertinenti al suo pezzo. Se l’azienda produce divani e riceve un giornalista che scrive, per esempio, su una rivista di cucina, forse dovrà aspettarsi un articolo sul “divano più comodo per pranzare in sala”. Una testata economica scriverà invece di dati di vendite e di bilancio, una rivista di settore darà enfasi soprattutto alle novità di prodotto.
I giornalisti non sanno ciò che scrivono.
Può darsi, ma l’ufficio stampa li ha messi in condizione di avere tutti i dettagli? Il mestiere del giornalista è cercare le informazioni, non possederle a priori. È compito dell’ufficio stampa mettere a disposizioni fotografie, numeri, particolari o caratteristiche tecniche, per permettere al giornalista di conoscere e comprendere quanto c’è di meglio nell’azienda in questione. Dovere dell’ufficio stampa è chiedersi: “Il press kit che ho preparato dà tutte le informazioni in modo chiaro?”
I giornalisti devono essere controllati.
No. Il modo migliore, per un ufficio stampa aziendale, per far sì che i media parlino in modo corretto del proprio cliente è diffondere comunicati efficaci e venire incontro, per quanto possibile, alle richieste dei giornalisti. Provare per credere.